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27 maggio 2024

Illustrazione di Rosa Maria Di Molfetta

SE SOLO AVESSI SAPUTO, AVREI FATTO TUTTO ALLO STESSO MODO

Lilith era un essere complesso. Donna e demone. Bellezza e oscurità. E io, l’amavo alla follia. Follia, sì. Tutti desideravano Lilith, io l’amavo. Lei no. Questo amore non corrisposto mi ha portato alla follia. Nonostante questo, sono immensamente grato di aver potuto conoscere anche solo una minuscola parte di lei. Lo dico con assoluta certezza, e lo dico dal posto in cui mi trovo. Un carcere in Albania.
La prima volta che vidi Lilith era al supermercato. Mi chiesi subito cosa ci facesse una donna così in un supermercato. Lei non era donna da supermercato. Non per i soldi. Ancora oggi non so che cosa faccia nella vita, a parte ammaliare uomini e donne. Data la mia forte convinzione nella sua lontananza da un luogo come il supermercato, credetti e credo ancora oggi al fatto che lei sia entrata lì per me. Una convinzione arrogante, ma concedetemi questo. Dopo avervi raccontato questa storia, converrete che merito questa piccola e malsana presunzione.

Ero davanti alla corsia del pane in cassetta. È sempre stato un momento che richiede concentrazione. Una mano mi aveva battuto sulla spalla.
“Mi scusi” aveva detto la voce di una donna.
Mi ero girato.
Una donna sulla settantina, la cui circonferenza corporea occupava quasi tutto lo spazio della corsia, mi aveva fatto cenno con la mano di spostarmi. Prima che potesse toccarmi di nuovo, mi ero allontanato, intimorito. Ero spiaccicato contro lo scaffale del pancarré e iniziavo a sentirmi soffocato come quelle povere fette di pane nella plastica.
Mi ero girato di nuovo verso il pane, tentando di riprendere la concentrazione.
Concentrati, avevo pensato.
“Sì, concentrati Edoardo” aveva detto la voce, quella voce.
Avete presente quella sostanza paralizzante che produciamo nel sonno?
Io volevo girarmi, volevo scoprire a chi appartenesse quella voce. Ma non riuscivo a muovermi.
“Girati Edoardo”. Se solo avessi saputo che da quel primo semplice ordine, ne sarebbero susseguiti tanti altri. Se solo lo avessi saputo, avrei fatto tutto allo stesso modo.
Dopo quel comando, ripresi padronanza del mio corpo, anzi, delle mie gambe.
Lilith era di fronte a me e mi guardava come se mi conoscesse. Mi sorrideva. Sorrideva a me.
Le mie labbra erano sigillate.
Non sono mai stato un seduttore. Le mie esperienze si possono riassumere nell’utilizzo smisurato di pacchi di fazzoletti Tempo.
“Vieni con me” così mi aveva ordinato.
Quello fu l’inizio della mia dipendenza da Lilith. Una dipendenza che aveva tutte le sintomatiche delle dipendenze e tutte le sue disastrose conseguenze. Da quel momento iniziai a fare tutto quello che Lei mi diceva di fare. Per la prima volta sapevo cosa fare della mia vita. Essere al servizio di quel demone vestito da donna.
I miei compagni di scuola mi definivano un cacasotto, ed era vero. Avevo paura di ogni cosa. L’autorità mi aveva sempre terrorizzato. Sarà che ho avuto una madre dittatoriale, una di quelle madri che se non rientri a casa all’ora stabilita ti mette al tappeto come solo Mike Tyson sa fare.
Dopo quello storico e memorabile incontro al supermercato, non riconoscevo autorità al di fuori di Lilith. Lei era la mia autorità, ma come la psicologia base insegna, quella donna che mi incuteva timore come mia madre, era anche la mia più malsana ossessione. Ne ero affascinato, ammaliato. La cosa di cui andavo più fiero, era che Lilith avesse scelto me, il più miserabile degli uomini. Aveva fatto della mia chiocciola, uno scudo che Lei stessa aveva forgiato. Ero il suo guerriero, il suo servitore, il suo cavaliere, il suo più fidato protettore.
“Entra in quella libreria ed esci con tre libri, senza pagare” mi aveva ordinato una volta. Nel formulare la domanda, i suoi occhi erano fissi sui miei e le sue labbra formavano impercettibilmente un sorriso malefico.
Quando mi ordinava cose di questo genere, non mi facevo domande e soprattutto non avevo paura. Entravo, sceglievo tre libri e uscivo. Per rendere più complicato il lavoro e avvalorare la mia impresa, prendevo tre libri distanti tra loro.
“Buttali” mi diceva Lei quando glieli porgevo.
Senza rispondere, mi avvicinavo ad un bidone e buttavo la merce rubata, libri, cd, vestiti.
Un pomeriggio eravamo al Museo di Scienze Naturali di Torino. Mi aveva detto di rubare dei minerali.
“Gettali nel Po” mi aveva ordinato.
Li avevo gettati dal ponte che collega la Gran Madre a Piazza Vittorio.
Non avevo mai chiesto nulla a Lilith, non avevo mai osato baciarla o anche solo toccarla. Per me, respirare l’aria che Lei respirava era già un onore grandissimo. Ascoltare la sua voce e ammirare la sua Bellezza, ricevere le sue attenzioni e obbedire ai suoi ordini era un dono meraviglioso.
Poi, una notte successe qualcosa a cui non ero minimamente preparato.
“Spogliami Edoardo” aveva ordinato.
Eravamo nel suo appartamento in centro, vicino Piazza Statuto. Un appartamento all’ultimo piano di un palazzo storico. Eravamo nella sua camera, dove solitamente mi chiedeva di presenziare tutta la notte mentre lei dormiva. Anche vederla dormire. Oh, che privilegio.
La sua enorme stanza era illuminata solo di candele, posizionate per terra e su alcune mensole in legno. Le tende che la proteggevano dalla luce erano di rouge noir acceso. La cosa più particolare di quella stanza erano gli specchi, uno specchio per ogni parete, che alterava la percezione spaziale della camera.
Dopo che le sue labbra avevano formulato l’ordine più bello che potesse darmi, per la prima volta esitai.
Mi stai mettendo alla prova, avevo pensato nella mia testa.
“No” aveva risposto Lei.
Vuoi davvero che io ti spogli, le avevo domandato ancora a mente.
“Sì” aveva detto Lei.
Lilith era in piedi accanto alla tenda. C’erano infinite Lilith in quella stanza, ma quelle proiezioni negli specchi non mi fuorviavano. Ero andato dritto da lei. L’avevo guardata negli occhi. Avevo deglutito. Avevo portato la mia mano destra sul suo viso, accarezzandolo per la prima volta. Un brivido aveva percorso ogni fibra del mio corpo. La mia mano era scivolata delicatamente sul suo collo, poi era scesa sul petto. Quella notte, Lilith indossava un vestito bordeaux lungo e scollato. Mentre la mia mano continuava ad accarezzarla, con l’altra cercavo la zip dietro la schiena. Quella schiena. Il mio inguine pulsava sempre di più dopo quell’ordine, e il contatto della mia pelle contro la sua aumentava quella pulsazione. Non volevo esplodere; cercavo di controllare per quanto possibile la situazione tra le mie cosce.
“Esploderai al momento giusto, non preoccuparti” mi aveva detto Lei.
Avevo trovato la zip. L’avevo aperta lentamente e per tutto quel lungo percorso, avevo sperato che sotto quell’abito fosse completamente nuda. La zip era culminata appena sotto il fondoschiena di Lilith. Le mie mani avevano abbassato le spalline del vestito e quel gesto lo aveva fatto scivolare a terra.
Lilith era nuda di fronte a me. L’ordine si era concluso. Cosa succede se si mette dell’alcol di fronte ad un ex tossico che non beve da anni? E cosa succede ad un uomo che non ha mai toccato una donna e che all’improvviso si trova ad un passo da una dea nuda?
Se Lilith mi aveva scelto, era anche perché non superavo mai il limite da lei posto. I suoi ordini venivano rispettati alla lettera.
Sperimentai il pieno controllo del mio corpo. Se ero riuscito a non saltarle addosso, era perché Lei mi aveva addomesticato bene.
“Baciami dove vuoi” aveva detto.
Avevo il via libera per esplorare il suo corpo attraverso la mia bocca.
Iniziai dalle sue labbra, il primo dono che avevo ricevuto da Lei, attraverso i suoi ordini.
Stavo baciando Lilith. Avevo lasciato entrare una piccola porzione di lingua e quando lei l’aveva accolta nella sua bocca con piacere, mi lasciai completamente andare.
Dopo aver baciato ogni centimetro della sua pelle fino all’ombelico, mi inginocchiai ed esplorai per la prima volta il luogo più oscuro e ignoto che avessi mai avuto l’onore di conoscere. Varcai l’accesso dell’ente più misterioso e prezioso di una donna. Amai tutto: il sapore, l’odore, la carne. Lilith mi aveva ricompensato per tutto ciò che mi aveva detto di fare e che mi avrebbe ordinato ancora di fare.

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