Questo racconto è stato scritto sotto la magica influenza di Bach, la cui musica ha accompagnato la scrittura. Sono stata a concerti di musica classica in passato, ma non credevo come questa potesse adattarsi perfettamente a situazioni di vita quotidiana. In questo, il nostro secchione ha ragione. Vi consiglio di ascoltare i brani indicati da Filippo e di immaginare le situazioni da lui scelte.
Miriam
Illustrazione di Rosa Maria Di Molfetta
“Sto ascoltando Bach. Johann Sebastian Bach. Rimango sorpreso di come le persone non ne riconoscano la conveniente contemporaneità. Infatti, non esiste brano di Bach che non si possa adattare alla vita di tutti i giorni. Immaginati una donna in sala d’aspetto che attende l’esito di un esame o una studentessa in preda ad un attacco di ansia per l’imminente prova di maturità. Ora vai su spotify e digita Overtures numero 2 in b minore. E ora, immagina un professore di matematica che sta spiegando un’equazione complicatissima ai suoi allievi in un’aula universitaria di dimensioni enormi o un teatro pieno di persone che aspettano l’inizio dello spettacolo. Per questo scrivi Cello Suite”.
“Ancora” dico insistente.
“Pensa ad una mamma e ad un papà, nella cameretta del figlio appena nato. Sorridono nel vedere quello che hanno messo al mondo. Raccontano al piccolo una storia, la mamma la narra, il papà fa le voci dei personaggi. Ascolta The Well-Tempered Clavier”.
“Ancora” ripeto come se non ne avessi mai abbastanza.
“Devo andare Sara, a presto”.
Non credevo che un secchione di cui non mi è mai importato niente potesse anche solo vagamente provocarmi una sensazione simile all’eccitazione. Sono sul tram e ascolto Bach su spotify. Sembra così assurdo che all’interno di una frase e in maniera così vicina tra loro queste due parole possano coesistere, ma se penso agli esempi di Filippo, l’assurdità è semplicemente la mia reticenza sulla loro convivenza in una frase. Inizio a parlare come Filippo Borghesio e questa cosa non mi sorprende. Nelle ultime due settimane non ho fatto altro che parlare con lui. Questo avvicinamento è opera della mia professoressa di letteratura, che per farmi assimilare alcuni dei concetti dell’ultimo trimestre ha avuto la stravagante idea di farmi aiutare da Filippo. C’è chi dice che i cliché siano ormai fuori moda e l’idea stessa dello stereotipo sia sdoganata. Ma la triste verità è che Filippo ha esattamente tutte le deprimenti caratteristiche fisiche e non, di un secchione. Magro che aspira alla dissolvenza, occhiali alla Clark Kent senza superpoteri, ma a dirla tutta, anche senza l’allergia alla criptonite e abbigliamento vintage ingiallito. Non che io non provi una stima verso Filippo, anzi, quella c’è inspiegabilmente, ma se volete un consiglio, diffidate di qualsiasi persona vi dica che l’abito non fa il monaco. Signore e signori, è giusto che voi sappiate che l’ABITO FA IL MONACO. Mi duole darvi questa aspra notizia, ma chi dice il contrario è semplicemente un coglione.
Il viaggio in tram è più sopportabile del solito. La vicinanza di membra sudaticce al mio cospetto è generalmente rivoltante, ma la mia attenzione si è spostata dal mio naso alle mie orecchie e grazie al contributo di Mister Bach, il mio tragitto da scuola a casa è stato quasi non spiacevole.
Mentre aspetto seduta alla fermata il secondo mezzo di trasporto più simile ad un treno merci che ad un tram, il telefono vibra. Con l’indice sudato scrollo per rispondere.
Filippo.
“Hai il mio libro di letteratura classica nel tuo zaino?”. Il suo accentuare i pronomi possessivi mio e tuo mi mette leggermente in ansia. Mentre guardo nello zaino, nella speranza di non avere il SUO libro, mi tremano leggermente le gambe. Allontano l’idea malsana che uno sfigato del genere possa in qualche modo turbare la mia serenità nel tornare nella mia camera ad ascoltare a volume censurabile, quelli che Filippo definirebbe urlatori di piazze. Sebbene non abbia mai immaginato Angus Young come un urlatore di piazza, l’idea di Filippo mi riporta al concerto di Madrid dove gli ACDC hanno letteralmente spaccato.
“Allora? Il mio libro?” chiede un Filippo disperato.
“Un attimo Filì” rispondo, quando in realtà ho già tra le mani il suo libro.
“Mi serve urgentemente” dice con affanno.
Cercando ancora nel mio zaino, noto che il mio non c’è.
“Filippo, credo che ce lo siamo scambiati. Prova a vedere se hai il mio”
“Certo che ho il tuo. Sì, ce lo siamo scambiati”.
“Perfetto, allora il problema non sussiste. Stasera studi con il mio e domani ti do il tuo”.
“Cara Sara, il problema sussiste nel momento in cui ho sottolineato le parti importanti secondo un criterio logico.”
Inizio ad irritarmi. “Anch’io ho sottolineato le parti più importanti.”
“No Sara, tu hai semplicemente evidenziato ogni parola scritta in grassetto, e per di più non con la matita, ma con un evidenziatore viola”.
“E certo. Il viola è il mio colore preferito” ribadisco.
“Sebbene la matita sia da preferire per questione di ordine e pulizia, se proprio dovevi evidenziare potevi usare il giallo che nel tuo caso aiuterebbe pure”.
Ora lo picchio. “Nel mio caso?”
“Sì, nel tuo caso. Il giallo rinforza la memoria.”
Le supposizioni di questa gran testa di cazzo cominciano a farmi prudere le mani.
“Filippo caro, carissimo ragazzo Filippo, per stasera cerca di arrangiarti lavorando sul tuo mancato spirito di adattamento”.
Se per un attimo ho creduto di vincere, l’attimo dopo mi ha fatto riconoscere un secchione in preda ad una crisi di ansia.
Rispondo alla seconda chiamata di Filippo.
“Che c’è?” chiedo.
Un Filippo in lacrime mi risponde urlando che lui non può studiare con il mio libro e che ha urgentemente necessità di studiare con il suo libro e che questa cosa potrebbe seriamente provocargli un attacco di panico.
Conoscendo sfortunatamente cosa sia un attacco di panico empatizzo con quel secchione sfigato.
“Sa’, dove abiti?”
“In via Garibaldi 35” dice lentamente, come se mi stesse facendo lo spelling.
Seguono dieci secondo di silenzio.
“Sara, ci sei?”
Seguono altri cinque secondi di silenzio e non tanto perché mi sento quasi offesa dal suo spellarmi la via come se fossi una demente. Quello che mi fa rimanere in silenzio è l’indirizzo. Tralasciamo il fatto che questo sfigato abiti in una delle vie più belle e ricche del centro di Torino, ma quello che mi fa incazzare è che ho appena preso il secondo tram che mi sta portando dall’altra parte di Torino e non di certo in centro.
“Sì, ci sono. Sto pensando”.
“Tu dove abiti?” chiede con il tono di quello che vuole trovare una soluzione.
“Non sono proprio del centro. Sono un po’ più spostata” evito di dirgli di che zona sono.
“Okay. Zona crocetta? Zona Cit Turin? Oddio, mica zona San Paolo?” ipotizza Filippo.
“Non esattamente”.
“Okay. Collina? San Mauro?” va avanti.
“No”.
“Non dirmi…”
“Cosa?”
“Mirafiori??”
Indignata per il suo tono da radical chic lo provoco.
“Peggio Filippo, molto peggio. E dopo questo tuo tono da borghesuccio, dovrai raggiungermi tu visto che sono sul quarto autobus che mi porta a casa” esagero, mentendo. Due tram con questo caldo equivalgono al doppio.
“Cosa c’è peggio di Mirafiori? Porta palazzo?”
“Fuochino” rido
“Pensa al capoluogo della Lombardia e sono sicura che ci arrivi”. Ora è Filippo a restare in silenzio per più di dieci secondi.
“Ba…ba…barriera di Milano?”
“Ti aspetto in via Volpiano 5, non venire dopo le nove che mi alleno”
“Diamine. Ora chiamo un taxi. A dopo”
Il taxi. Il TAXI. Lui chiama il TAXI. Mi sento un’idiota per aver anche solo ipotizzato di andare da lui. Ma probabilmente l’ho fatto per la curiosità di vedere un appartamento in via Garibaldi.
Passano cinquantacinque minuti che tutto sommato non è neanche così tanto.
Filippo suona.
Filippo è sul mio pianerottolo.
Filippo ha la faccia di uno che sta entrando in una lugubre stanza di tossici vampiri e considerando che tre quarti dei condomini sono drogati direi che l’espressione è consona.
“Hai intenzione di restare sul pianerottolo o entri?”
Filippo sospira.
Io alzo gli occhi al cielo.
“Puoi restituirmelo anche qui il mio libro, c’è giù il taxi che mi aspetta”.
Mi trascino verso la mia stanza per prendere il SUO libro del cazzo. Poi rifletto. Se questo emerito idiota non vuole entrare in casa mia, allora entrerò io nella sua.
“Dai andiamo!” gli dico dopo avergli restituito il libro e aver chiuso la porta di casa alle mie spalle.
“Scusa, andiamo dove? Non dovevi allenarti? Io devo tornare a casa” dice Filippo.
“Ecco appunto, andiamo”.
Filippo scuote la testa come se stesse scacciando un moscone. “Io devo studiare e devo esercitarmi al piano e poi i miei non ci sono”.
“Meglio, l’idea di vedere Borghesio Senior e Signora non mi…aggradiva molto”.
“Aggradava si dice” puntualizza.
Siamo sul taxi e io non sono mai stata su un taxi, neanche su un aereo, ma non so perché il taxi mi sa più di ricco.
“Può tornare in via Garibaldi, grazie” dice Filippo tentando un tono autoritario.
“Può andare sul colle della Maddalena, grazie” dico io.
Il tassista si gira. “Scusate dove devo andare?”
“Via Garibaldi”
“Colle della Maddalena” diciamo all’unisono.
Siamo sul colle, ovviamente.
“Amo questo posto. I profumi, la vista, mi ricordano quando ero bambina”.
Filippo mi osserva.
“Allora, hai capito la poetica di Montale?” mi chiede imbarazzato dalla situazione paradossale. Sì, io e Filippo sul colle della Maddalena è puro paradosso.
Tiro fuori la canna dalla tasca che mi sono rollata quando ero a casa.
“Erba? Tu fumi erba?”
“Perché hai scelto di fare il secchione?” chiedo dopo aver aspirato il primo tiro.
“Non sono un secchione. Sono solo uno che studia per il piacere di farlo.”
“Se fosse così non avresti l’ansia per ogni esame ”
“Ma è normale essere in ansia prima di un esame”
“Ma chi lo dice che è normale avere paura di un esame? Dove sta’ scritto? Questa è solo un’enorme cazzata. Io non sono in ansia per gli esami”
Filippo abbassa lo sguardo. “Tu non sei in ansia perché probabilmente non ti interessa se prendi un brutto voto o in generale non ti interessa la scuola”
“Hai ragione sai, non me ne frega un cazzo se prendo un brutto voto e non me ne frega un cazzo di questa scuola obsoleta e mentalmente limitata”
Filippo sembra intimorito. “Perché ti arrabbi con me adesso? Ti sto aiutando a studiare, siamo venuti qui come volevi. Cosa devo fare per farmi piacere da te?” dice pizzicandosi la lingua, come se non avesse mai voluto rivelare quella cosa.
Il taxi ci porta sotto casa di Filippo.
“Se vuoi ti faccio vedere casa mia. Poi il mio taxi ti riporterà a casa tua”.
Rido.
“Il mio taxi, la tua casa. La finisci di mettere il pronome possessivo davanti a tutto. Cosa pensi? Questa non è casa tua, ma dei tuoi. E anche questo maledetto taxi non è tuo, ma del tassista. Sei limitato come la scuola che frequenti e che ami tanto. Svegliati e vivi un po’”.
Filippo si accarezza la spalla come se volesse darsi sicurezza. “Mi dispiace. Allora, ti va di vedere casa mi… casa?”
Apro la portiera del taxi e salgo. “Ci vediamo domani secchione. Studia!”.
La mattina dopo, Filippo è irriconoscibile. Un gemello dimenticato o un sosia, ma quello che vedo non è il secchione che ho salutato ieri.
“Filì, tutto apposto? Ti vedo…?”
Il sosia di Filippo si tira su gli occhiali che non ha, sarà l’abitudine, ma la cosa mi fa sorridere.
“Tutto bene, tu?” dice con una voce e un tono non suoi.
“Quei pantaloni? Li hai rubati a Marilyn Manson?” dico.
Filippo si guarda dal petto in giù, poi scappa dalla classe portandosi le mani alla faccia.
Lo raggiungo nel bagno dei maschi.
“Dicono che faranno i cessi per quelli che non si sentono né maschi e né femmine, com’è che si chiamano? I binary, non binary?” dico cercando di sdrammatizzare.
“Che gran puttanata” dice Filippo, e Filippo non dice mai parolacce.
“Sono d’accordo” dico mordendomi la lingua e fingendo che quel suo interloquire sia normale per lui.
La porta del bagno ci divide. Io sono appoggiata per terra contro la porta e sento i singhiozzi di Filippo affievolirsi.
“Devo dirti una cosa Sara”
“E dimmi”
“La verità è che sono stato io a propormi alla prof per darti ripetizioni”
Mi alzo di scatto.
“Cosa? Ma se dopo che la prof ci ha detto ‘sta roba, mi hai urlato addosso che lo trovavi assolutamente disdicevole e di cattivo gusto per uno come te, essere associato a una come me’” dico imitando la sua erre moscia. “Dì un po’, sei fulminato o semplicemente stronzo?”
Filippo apre la porta. “Sono innamorato Sara”
Rimango per la prima volta senza parole.
Filippo prende il suo telefono dalla tasca dei pantaloni in pelle nera. Va su spotify e digita qualcosa.
La musica parte ed è perfetta per quel momento.
“Bach?” chiedo incuriosita.
Filippo scuote la testa, poi mi accarezza la guancia.
“Vivaldi, la Primavera…”.
Non è disponibile alcun riassunto in quanto si tratta di un articolo protetto.
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